Le pagine che seguono offrono dei mezzi per fare chiarezza e trovare calma nel giro di pochi minuti. Possono essere messi in pratica all’interno di un ventaglio di situazioni ordinarie – nel tempo che ti occorrerebbe per bere una tazza di tè. Se vivi una vita piena, questo manuale potrebbe esserti utile per uscire dal ritmo di velocità della giornata e farti guadagnare tempo. Questi suggerimenti potrebbero anche fornirti un modo di meditare – ma ciò dipende da te e un’altra guida.
Questo libro nasce da una serie di discorsi che tenni nel Monastero di Cittaviveka a metà degli anni novanta. Più di un decennio dopo, Kittisaro fece in modo che fossero trascritti e curati con l’intenzione di pubblicarli in una forma leggibile. Dopo aver ricevuto le bozze, io ho sostanzialmente riorganizzato, modificato e integrato il materiale. Questo perché i discorsi furono pronunciati dinanzi alla comunità monastica residente, la quale possedeva già molte conoscenze di base che non posso dare per scontate in ogni lettore. Nel frattempo è cresciuta anche la mia comprensione, e ho voluto dare una base più solida al materiale originale aggiungendo riferimenti ai Sutta del Canone in pāli, e anche consigli sulla pratica quotidiana delle pāramī. Ciò che riguarda questa pratica è ora collocato nelle sezioni intitolate “Citazioni e suggerimenti su…”. Il mio auspicio è che l’accostare queste sezioni a quelle teoriche fornisca una guida equilibrata a una pratica continua del Dhamma. Per le persone che si avvicinano al Dhamma tramite la meditazione, raccomanderei di prendere in considerazione i processi di “Riflessione” e “Azione”; questi sono standard tradizionali che aiutano a portare il Dhamma nella focalizzazione più impegnata ed esterna delineata dalle pāramī.
Ci sono alcuni argomenti che i praticanti della meditazione buddhista conoscono bene: “la consapevolezza del respiro”, in cui ci si focalizza sul ritmo del respiro, “la meditazione camminata”, che ruota intorno alla sensazione dei passi mentre si cammina su e giù lungo un percorso prefissato, la ripetizione interna di un mantra, come “Bud-dho”. Tutte queste pratiche sono concepite per ancorare l’attenzione nella presenza di questo esatto momento, di questa realtà presente.
Insieme a questi metodi più conosciuti ce ne sono molti altri che possono essere utilizzati allo stesso scopo. Uno di questi è noto come “ascolto interiore” o “meditazione sul suono interiore”, o ancora, in sanscrito, “nada yoga”. Questi termini si riferiscono tutti al metodo in cui si presta attenzione a quello che è stato chiamato “il suono del silenzio”, o “il suono-nada”. “Nada” è la parola sanscrita per “suono”, come pure la parola spagnola per “nulla”. Una coincidenza interessante e – del tutto casualmente – significativa.
In un boschetto di bambù, le vecchie foglie si ammucchiano attorno agli alberi, poi si decompongono e diventano concime. Eppure non ha affatto un bell’aspetto.
Il Buddha ha insegnato a contemplare il corpo nel corpo. Cosa significa? Tutti conosciamo le parti del corpo, i capelli, le unghie, i denti e la pelle. Come si contempla dunque il corpo nel corpo? ‘Contemplare il corpo nel corpo’ significa riconoscere tutte le sue parti come impermanenti, insoddisfacenti e prive di un sé. Non è necessario entrare nei dettagli e meditare sulle singole parti. È come avere della frutta in un cesto. Se abbiamo già contato i frutti, sappiamo cosa contiene il cesto, e quando ne abbiamo bisogno, possiamo prendere e portare via il cesto e con esso verranno anche tutti i frutti. Sappiamo che i frutti sono lì e non abbiamo bisogno di contarli di nuovo.
Il seguente discorso fu informalmente offerto dal Ven. Ajahn Chah a un monaco studioso, venuto a rendergli omaggio.
La vera ragione per studiare il dhamma, gli insegnamenti del Buddha, è quella di trovare un modo per trascendere la sofferenza e realizzare la pace e la felicità. Sia che studiamo i fenomeni fisici o mentali, la mente (citta) o i fattori psicologici (cetasika), siamo sulla retta via solo quando poniamo la liberazione dalla sofferenza come il nostro scopo ultimo. La sofferenza esiste per sue precise cause e condizioni.
Cercate di capire che la mente, quando è tranquilla, si trova nel suo stato naturale, normale. Appena si muove, diventa condizionata (saṅkhāra). Quando la mente è attratta da qualcosa, diventa condizionata. Quando sorge l’avversione, diventa condizionata. Il desiderio di muoversi qua e là nasce dal condizionamento. Se la nostra consapevolezza non riesce a tenere il passo con queste proliferazioni mentali man mano che nascono, la mente si metterà a inseguirle e ne sarà condizionata. Ogni volta che la mente si muove, in quel momento preciso, diventa una realtà convenzionale.
Una sera nel nord-est della Thailandia
La notte sta scendendo rapidamente. La foresta risuona dell’ondoso brusio di innumerevoli grilli e dell’inquietante e crescente gemito delle cicale tropicali. Poche stelle si intrufolano fiocamente tra le cime degli alberi. Nella crescente oscurità, un paio di lanterne a cherosene producono una pozza di caldo chiarore, illuminando l’area all’aperto sottostante una capanna issata su pali di legno. Sotto il bagliore, due dozzine di persone sono raccolte attorno ad un piccolo monaco ma di solida costituzione, che siede a gambe incrociate su una grande sedia di vimini. Una pace vibrante è nell’aria. Il venerabile Ajahn Chah sta insegnando.
Secondo l’accezione più vasta del termine, “meditare” significa dirigere ripetutamente l’attenzione su un’immagine, una parola o un tema allo scopo di calmare la mente e riflettere sul significato dell’oggetto prescelto. Nella pratica buddhista nota come “meditazione di consapevolezza” l’attenzione focalizzata ha anche un altro scopo: approfondire la comprensione della natura della mente. A tal fine la funzione dell’oggetto di meditazione è fornire un punto di riferimento stabile che faciliti l’emersione di tendenze altrimenti celate dall’attività superficiale della mente.
Il Buddha esortava i suoi discepoli a prendere come oggetto di meditazione il proprio corpo e la propria mente. Un oggetto frequentemente utilizzato, ad esempio, è la sensazione associata all’inspirazione e all’espirazione nel corso del naturale processo respiratorio.
Sedersi in silenzio prestando attenzione al respiro conduce, col tempo, allo sviluppo di chiarezza e calma. In questo stato mentale è possibile discernere più chiaramente tensioni, aspettative e umori abituali, e scioglierli con l’esercizio di un’investigazione delicata e al tempo stesso penetrante.
AGLI INIZI DEGLI ANNI ’80 ero un giovane monaco che viveva e praticava al Wat Suan Mokkh, un monastero della foresta nel sud della Thailandia fondato da Ajahn Buddhadāsa, uno dei più grandi studiosi e insegnanti di meditazione thailandesi degli ultimi 50 anni. Ho un profondo apprezzamento nei confronti del lignaggio Theravāda di questo paese, per la sua totale fedeltà agli insegnamenti originali del Buddha, così come ci sono stati tramandati attraverso il Canone pāli.
Mi trovavo a Suan Mokkh da poco tempo e una mattina, mentre facevamo colazione nel refettorio all’aperto, mi sorpresi nel vedere nelle vicinanze, in cima a un piedistallo alto quasi due metri, un busto di Avalokiteshvāra, il dio Mahāyāna della compassione. Mi chiesi cosa ci facesse una divinità Mahāyāna proprio lì, in un monastero Theravāda. Le due tradizioni si sono separate nell’India del nord 2000 anni fa. In quel momento credevo, e mi sbagliavo, che non si fossero mai più parlate, come una coppia astiosa senza figli dopo il divorzio.
La ragione per la quale io e voi abbiamo dovuto percorrere faticosamente questo lungo cammino risiede nel fatto che non abbiamo scoperto, non abbiamo penetrato quattro verità. Quali sono? Esse sono: la Nobile Verità della Sofferenza, la Nobile Verità dell’Origine della Sofferenza, la Nobile Verità della Cessazione della Sofferenza, e la Nobile Verità del Sentiero che conduce alla Cessazione della Sofferenza. (Digha Nikaya, Sutta 16).
Il Dhammacakkappavattana Sutta, l’insegnamento del Buddha sulle Quattro Nobili Verità è stato, in tutti questi anni, il più importante punto di riferimento che ho avuto per la pratica. E’ l’insegnamento che seguiamo nel nostro monastero in Thailandia. La scuola buddhista Theravada considera questo Sutta come la quintessenza dell’insegna-mento del Buddha. Esso da solo contiene tutto ciò che è necessario sapere per comprendere il Dhamma ed arrivare all’Illuminazione.